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Tributo a Eddie Van Halen +  Playlist

14/10/2020

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Quando ho sentito per la prima volta Van Halen ero un ragazzino fanatico di gruppi come Deep Purple, Led Zeppelin, Black Sabbath, insomma suoni molto 60’s/70’s, non ascoltavo altro, e la chitarra di Eddie mi ha proiettato nel futuro, col suo approccio alieno e totalmente nuovo, e ha radicalmente cambiato la direzione della mia ricerca sonora come chitarrista in divenire e del mio “sentire” la musica, cosa che mi era successa solo con Hendrix anni prima
​(e succederà con D’Angelo anni dopo).
Il punto però è che Eddie era molto più di questo, come Hendrix non era solo un virtuoso della chitarra ma un artista creativo a 360° la cui influenza è andata bel oltre le 6 corde. Per spingere gli ascoltatori che lo conoscono poco a guardare oltre gli assoli lunghissimi fatti di impressionanti cascate di note, che hanno generato migliaia di emuli, ad andare oltre oltre al tapping, che l’ha erroneamente inscatolato nella categoria shredder/ipertecnica, oltre i testi festaioli dei suoi brani, ho pensato ad un elenco (e playlist) di brani meno conosciuti che per me sono stati fondamentali.

Soffermandoci prima ancora per un attimo sul suo stile chitarristico, va detto che ogni nota suonata da Eddie non aveva mai il sapore della tecnica vuota e fine a se stessa, e ogni tecnica che usava non era mai autoreferenziale ma parte di un personale vocabolario musicale e fraseggio inimitabili. Il tapping mozzafiato, gli armonici con cui faceva urlare la chitarra come un’aquila, il “dive bombing” con la leva del Floyd Rose, insomma tutte le componenti più evidenti del suo stile hanno sempre avuto l’intento di esplorare i limiti espressivi dello strumento, di creare nuove idee espressive tramite la chitarra, come negli anni 30’ i trombettisti che per primi hanno utilizzato vari oggetti per modificare il suono del proprio strumento, creando la sordina, o i primi chitarristi elettrici che rompevano di proposito i coni dei propri amplificatori per distorcere il suono, prima che esistessero i pedali fuzz, come gli armonici di John Coltrane, come il wha wha di Hendrix, come i gorgheggi di Lauryn Hill e Beyoncé. Eddie è stato importante anche per l’industria della chitarra, basti sapere che dopo le sue modifiche da liutaio “amatoriale” le chitarre elettriche non sono più state costruite e progettate allo stesso modo.

Tornando all’importanza che ha avuto per me, ascoltare i suoi dischi mi ha spinto a esplorare i generi più disparati. Ascoltando per esempio 1984, il primo brevissimo pezzo strumentale dell’omonimo disco, mi torna in mente l’odierno Onehotrix Point Never, la vapor wave, la prima elettronica dei Kraftwerk, tutte cose molto distanti dall’heavy rock anni 80. Cosa ancor più interessante, in 1984 non c’è chitarra... Eddie suonava anche le tastiere...grazie a questo pezzo ho iniziato, da ragazzino rockettaro, a interessarmi ai sintetizzatori e ad artisti elettronici come Aphex Twin e Squarepusher, e a esplorare il mondo al di fuori della 6 corde. Questo percorso che mi ha poi portato a scoprire anni dopo i beatmakers di L.A., del Low End Theory e della Brainfeeder di Flying Lotus.
Altro pezzo che mi ha conquistato per la fusione di groove ed elettronica è I’ll Wait, sempre da 1984, che quasi precorre il sound di band come Mgmt e Justice. Brano dalla scrittura perfetta, in cui anche David Lee Roth dimostra magnificamente le sue doti vocali, cantando una melodia orecchiabile ma allo stesso tempo scostante sopra passaggi armonici ben più intricati dello standard rock’n’roll, in più Eddie esegue uno dei suoi assoli più intensi e melodici, à la Prince.
Push Come to Shove, da Fair Warning (1981), pezzo rock ma con un groove quasi reggae... anche se erano gli anni dei a Police questo è un mix quantomeno originale, in cui Eddie riesce ad includere anche un assolo alla Allan Holdsworth.
(Oh) Pretty Woman da Diver Down (1982) e’ il brano grazie al quale ho imparato che un gruppo hard rock può anche essere hard pop ma è Big Bad Bill (Is Sweet William Now) il pezzo che più mi ha lasciato a bocca aperta del disco... perché un gruppo hard rock poteva essere anche jazzy... grazie a questo brano, che vede Van Halen senior, padre di Eddie e Alex, al clarinetto ho riscoperto artisti con Django Reinhardt e Wes Montgomery.
Best of Both Worlds, del 1986, è un brano indubbiamente figlio dei suoi tempi, ma è una bellissima canzone pop/soul che mi ha sempre ricordato il Prince di Controversy e la produzione anni 80 di Tina Turner.
Con Could This be Magic (1980) Eddie e soci dimostrano di conoscere e saper reinterpretare anche la tradizione country americana.
Cathedral (1982) è un breve pezzo strumentale chitarristico quasi ambient, e Little Guitars-intro (1982) ricorda il John Mc Laughlin di Extrapolation.
Little Guitars (1982) incrocia pop e rock in maniera sopraffina, qui le chitarre sono quasi una seconda voce che canta sotto alla melodia principale.
Drop Dead Legs (1984) è stata definita dallo stesso Eddie la versione jazz di Back in Black degli AC/DC, come non amarla?
It’s About Time è uno degli ultimi brani originali incisi con Sammy Hagar per il Best of pubblicato nel 2004, potente brano rock che esemplifica l’evoluzione stilistica di Eddie che qui si avvicina a sonorità metal. Questo sound verrà ripreso in Honebabysweetiedoll nel conclusivo album del 2012, questa volta con Roth alla voce.
Once è un oscuro brano del 1998 con Gary Cherone alla voce (che oggi suona un po’ datato e molto poco Van Halen) ricorda lo stile di Sting o Seal e incorpora un loop di drum machine nell’arrangiamento.
In chiusura ho scelto Humans Being (1996) registrato per la colonna sonora di Twister perché il riff portante del pezzo è uno dei miei preferiti di sempre.

Questa playlist non ha la pretesa di essere esaustiva, è solo un punto di partenza per chi volesse esplorare con mente aperta la musica di un grande artista, una raccolta di brani che mi hanno ispirato enormemente e che spero possano ispirare altri.

PLAYLIST

RIP Eddie Van Halen.

Alla prossima,
​Alex
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